Stamattina al Boè il clima era limpido e fresco;
opzionalmente, alcuni di noi sono saliti sul Piz Boè, la cima lì di fronte, che
personalmente ho evitato per pigrizia ma con un po’ di pentimento in seguito ai
commenti soddisfatti.
“Solo pochi riuscirono a salire al pizzo. Partiti alla ben
ora delle otto del mattino il gruppo di superstiti si avvia presso la cima
stabilita. Senza zaino l’avventuroso gruppo si avvia verso la cima. La salita è
ripida e faticosa ma la forza della volontà ci aiuta ad andare avanti. Salita
la prima parte ripida del sentiero ci troviamo una strada in legno con
corrimano a fianco; in ordinata fila indiana ci avviamo alla salita del Capanna
Fassa”
[Michele]
“..luogo dal quale
si potè ammirare lo spettacolare panorama, paragonato dalle guido turistiche ad
uno scenario lunare.”
[Flavio]
Mentre loro salivano, noialtri siamo rimasti per un po’ in
rifugio a leggere o giocare a carte. Poi abbiamo iniziato ad avvicinarci, nel
mentre che loro erano in vetta, e giunti al Sass Pordoi (sopra all’omonima
forcella) abbiamo aspettato i mancanti per prendere la funivia che ci avrebbe
portati al Passo Pordoi. Da lì (rifornimento acqua, pausa di organizzazione
tecnica) su per il fianco del Sass Becè, dopo il quale, scandito dalla presenza della
baita Fredarola (animata da interessanti emissioni radio dal gusto funky) ha
avuto inizio la popolare ed affollatissima Via del Pane (caratterizzata non
solo da un considerevole numero di italiani rispetto alla consueta fauna
crucca, ma anche da un abbondante numero di famigliole con bambini).
La Via del Pane, infatti, per quanto relativamente lunga, si
snoda su un bellissimo costolone tutto in falsopiano, fatta eccezione per un
ultimo breve tratto in discesa.
Questo arrivo è in concomitanza della strada, del rifugio
Castiglioni alla Marmolada e della grande diga del Fedaia, lago artificiale che
pare mosso dai venti come un mare.
Qui qualcuno prende una bibita, e nel frattempo vengo
chiamata a trascrivere su computer (il computer del capofamiglia Fasolato,
Alessandro, che è sbucato ad un certo punto con la giovine Sara) il manoscritto
precedente a questo, che probabilmente avrà la stessa destinazione.
Nel mentre che scrivo tutti scompaiono eccetto Flavio e Fabio
(anche Flavio deve trascrivere il suo e Fabio ce li visionerà), e una volta
finito in fretta e fuoria raggiungiamo gli altri, perché la bidonvia chiude
alle cinque e dobbiamo affrettarci.
La bidonvia è –per me- qualcosa di nuovo. E’ letteralmente
un cesto, con le sbarre fino alle costole, e per il resto completamente coperta, un’ovovia come massimo biposto
e all’aperto.
Non per vertiginosi.
E fortuna però che l’abbiamo presa, perché sale per un bel
po’, forse un quarto d’ora, per un tratto bello ripido. Ed in cima,
immediatamente, il rifugio Pian de’ Fiacconi, 2626 metri.
E’ questo un rifugio sobrio e legnoso, odora di cera per
mobili e ha grossi tavoli con panche in legno ergonomiche come quelle di alcuni
vecchi parchi, e che si affacciano su una vetrata più che panoramica: da qui si
vede tutto, anche il Piz Boè, che sembra lontanissimo e dista invece nove ore,
con tutto di soste e attese.
Quel che poi c’è di interessante qui (è un rifugio base per
le salite alla Marmolada, lo staff è giovane e il sito curatissimo) è il menù,
che ha completato (scusate se mi dilungo) con coronamento l’ambiente
gradevolissimo: polenta, stinco, patate, e uno strüdel… poetico.
Prima di cena abbiamo fatto una doccia e il toglierci l’appiccicume
di dosso ha aiutato i sensi. Dopo cena una brevissima sessione di carte, perché
qui chi sale alla Marmolada va a letto molto presto, e perché a causa della
mancanza di posti una decina di persone dorme sotto nel salone in cui si
pranza, così gli oste apparecchiano la tavola di materassi per letti
rudimentali. ..Noi andiamo a coricarci nei nostri letti-cuccia di legno, pronti
per l’indomani.
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